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"Nacqui che ero ancora
molto piccolo"
Con questa frase surreale iniziava una autobiografia di Zio Paperone
che ho letto da bambino,
ma che ancora oggi mi fa morir dal ridere per la sua assurdità.
Molti penseranno: "E bravo Robbi. Che bella citazione colta! Cominciamo
proprio bene!". Ok. Chiedo scusa a tutti. Ma non troppo. Se non
avessi avuto il dono dell'ironia, sarebbe stato molto più faticoso
per me attraversare i tanti momenti rognosi offertimi dalla vita.
" Un
tipo particolare", dicevano i parenti. Fosse solo per il momento
che ho scelto per nascere: alle ore 10 e 10 del giorno 10 di ottobre che per
l'appunto è il mese numero10. "Sicuramente farà lo scenziato,
oppure sarà un artista", dicevano.
Per fare lo scenziato avrei dovuto avere molta più voglia di studiare,
ma per fare l'artista bastava lasciarsi trasportare dall'anima e così passavo
ore ed ore a sognare ad occhi aperti. E questo a differenza della scuola,
mi riusciva benissimo.
Avevo appena 6 anni quando mio fratello
Marco, di 12 anni più grande di me, portò a
casa un pianoforte vero. Rimasi completamente stregato da
quello strumento che cominciai subito ad esplorare suonandolo
ogni volta che lui non era in casa. In poco tempo, grazie
al mio orecchio, ero in grado di suonare tutte le canzoni
che si sentivano alla radio o in tv, con grande stupore di
tutta la famiglia. "Ehi, venite un po' qui a sentire Robertino!" A
8 anni composi la mia prima canzone (una sorta di inno di
protesta riguardante il fatto che non volevo essere obbligato
a mangiare la minestra che mi rifilavano a cena).
Non avevo ancora compiuto 10 anni quando
accadde una terribile disgrazia che avrebbe cambiato radicalmente
la vita della mia famiglia: mio fratello Marco, di ritorno
da un locale dove era stato a suonare con la sua band, ebbe
un incidente mortale che lo portò via da tutti noi
per sempre. Io ero forse ancora troppo piccolo per comprendere
e razionalizzare a fondo le conseguenze di tutto ciò,
fatto sta che la musica era il rifugio ideale per mettermi
al riparo dalla pesante e triste atmosfera che si respirava
a casa mia. Grazie alla musica potevo dare senso e sfogo
a tutti i miei sogni adolescenziali senza peraltro cacciarmi
troppo nei guai.
Inevitabilmente, dopo qualche anno,
formai la mia prima band, con alcuni amici conosciuti all'uscita
di scuola, altrettanto appassionati quanto me. Con i Windopen (nome
dalle reminescenze lisergiche, come Pink Floyd) avevamo le
idee molto chiare sul da farsi. Affittammo una cantina al
numero 13 di via S.Vitale, Bologna, dove c'erano anche altre
sale prove di altrettanti gruppi e un locale (il Free) dove
spesso ci esibivamo davanti a un pubblico sempre più incandescente.
Era bellissimo. Non sembrava neanche di stare a Bologna.
Per noi era come vivere a Londra o in chissà quale
altra città pazzesca. Nessuno avrebbe potuto fermarci.
Nemmeno i ladri che una volta ci portarono via tutti i nostri
miseri strumenti. Certo, fu una brutta pacca per noi, ma
questo non fu sufficente per farci arrenedere. Anzi. Fu a
questo punto che presi il coraggio a piene mani e decisi
di abbandonare la scuola ( studiavo ragioneria) per cercarmi
un lavoro. Lo trovai in un'officina circa una settimana dopo.
Con il primo stipendio mi comprai un basso nuovo fiammante
che uso ancora oggi. E' il Fender che si vede anche sulla
copertina del mio disco. I miei genitori si arrabbiarono
non poco per questa mia scelta estrema, ma nonostante le
abbiano provate tutte per disilludermi, io ormai avevo deciso:
la mia strada sarebbe stata quella del musicista a tempo
pieno.
A suon di concerti ovunque, riuscimmo
a farci notare da molti addetti ai lavori e ad avere un buon
seguito di fans anche al di fuori della nostra regione. Nel
frattempo Bologna stava diventando il centro della nuova
musica giovanile. Arte, cultura, politica, un vero e proprio
movimento stava nascendo e la sua eco cominciava a farsi
sentire anche nel resto d'Italia.
Di lì a poco una importante casa discografica milanese, la Cramps,
ci offrì la possibilità di pubblicare un disco. Il primo
singolo andò benissimo. Vendette 5000 copie. Una cifrona. E grazie
a questo brillante risultato iniziale si fece avanti una multinazionale
offrendoci un contratto vero e proprio per 3 dischi, che qualunque altra
persona normale avrebbe firmato subito senza batter ciglio. Ma noi non
eravamo gente normale. Troppo idealisti per scendere a patti con il business,
rifiutammo l'offerta, convinti di salvaguardare così la nostra
integrità artistica. Questo segnò inevitabilmente l'inizio
del declino della nostra band. Facemmo ancora qualche altro disco autoprodotto,
ma le occasioni per suonare dal vivo diventavano sempre più rare.
E dopo qualche anno il gruppo si sciolse.
A questo punto era necessario un cambiamento
radicale. Se Bologna era diventata un mortorio, Firenze al
contrario era una città in pieno fermento. Da un paio
d'anni avevo cominciato a frequentare gente dell'ambiente
musicale fiorentino, agevolato anche dal fatto che potevo
fermarmi a dormire nella casa dei mie nonni paterni, disabitata
già da tempo, ogni volta che ne avessi avuto bisogno.
2+2 fa quatrroequattrotto: Mi sono trasferito a Firenze senza
subire il trauma di un affitto da pagare e presto riesco
ad infilarmi in un gruppo di R&B, gli Hypnodance.
Pubblichiamo alcuni dischi e facciamo qualche centinaio di
concerti, collaborando anche con un sacco di altri musicisti.
Alla batteria suonava Daniele
Trambusti che contemporaneamente suonava anche
con i Litfiba.
Quando, dopo qualche tempo, i Litfiba ebbero
bisogno di un bassista per sostituire Gianni Maroccolo, il
mio ingresso nel loro organico fu quasi automatico.
E qui si apre per me veramente una nuova
era. Non conoscevo a fondo i Litfiba e
soprattutto non avevo consapevolezza del seguito che avevano.
Fu una sorpresa strabiliante ritrovarsi a suonare davanti
a tutta quella gente impazzita. Ho dovuto darci dentro fino
all'inverosimile per sentirmi all'altezza della situazione.
Anno dopo anno il successo cresceva sempre di più. Dischi in testa
alle classifiche, tournee in Italia e all'estero dentro a palasports
sempre murati di gente. Televisione, fans, autografi, gente che ti ferma
per la strada o che ti aspetta sotto casa per dirti quanto ti ama. Una
volta ho pure beccato mio padre che firmava autografi davanti ad un nostro
camerino. Non ho potuto fare a meno di rinfacciargli tutte le volte che
aveva tentato di mettermi i bastoni tra le ruote. Lui si scusò ammettendo
che avevo ragione io. Eh eh. Piccole soddisfazioni della vita.
Gli anni con i Litfiba (dal
90 al 99) sono stati anni incredibili, ricchi di esperienze esaltanti,
non solo dal punto di vista artistico ma anche e soprattutto dal punto
di visto dei rapporti umani. Una scuola di vita importante dove è stato
impossibile per me non crescere anche dentro.
In mezzo a tutto questo vortice, un evento ancora più importante
segnerà la vita mia e della mia consorte Lucina:
la nascita di nostra figlia Alice,
decisamente la nostra miglior "autoproduzione". In assoluto.
Ma successo dopo successo, ad un certo
punto il giocattolo Litfiba si è rotto.
Piero e Ghigo (i due leaders della band) sempre più lontani
tra di loro, hanno scelto di separarsi proprio all'apice
del successo. Mi sono così ritrovato a dover scegliere
fra due alternative: o restare con Ghigo che
avrebbe fondato i nuovi Litfiba, o seguire Piero nella
sua nuova dimensione solistica. Alla fine ho scelto Piero,
non tanto perchè non considerassi Ghigo all'altezza,
quanto perchè ritenevo che la dimensione artistica
di Piero fosse più vicina alla mia. La nuova avventura è durata
circa 4 anni, con all'attivo 2 dischi e 2 tournee.
Ma nel frattempo, cominciava a nascere
dentro di me l'esigenza di un progetto che fosse veramente
mio e così, quasi senza rendermene neanche conto,
ho cominciato a buttare giù le idee per delle canzoni
completamente mie. Un' esigenza fisiologica che piano piano
mi ha allontanato da Piero ma che mi ha portato alla realizzazione
del mio primo disco solista, di cui sono sia autore che interprete.
Il disco, prodotto da Saverio
Lanza, si intitola" ROBERTOTERZANI.HITS" ed è nei
negozi dalla metà di settembre 2005. Un nuovo punto di partenza,
luminoso almeno quanto la mia voglia di farlo. Con l'esperienza di un
veterano e con l'entusiasmo di un ragazzino affronto oggi questa nuova
avventura i cui sviluppi si potranno conoscere soltanto nel prossimo
futuro.
E la storia continua....
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